Quando un edificio comunica sensazioni
- Katia Girardi architetto di head work

- 28 mag 2023
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 5 giu 2023
Non lo so se capita a tutti gli architetti o a tutte le persone. Non so se è semplicemente una mia percezione personale o se più o meno accada a tutti, quando si entra in un vecchio edificio, di avvertire un'impressione di quello che è passato dentro a quell'edificio. In quelle sensazioni è spesso contenuta un'ispirazione creativa per procedere al riuso di quel fabbricato.
Alcuni sono dettagli decadenti, che incitano più che altro a ricercare l'ordine perduto, tipo:
" (...) Nelle stanze erano rimasti solo reti, materassi e cuscini, in condizioni pessime. La nota decadente erano decine e decine di bottiglie di superalcolici vuote, sparse nelle stanze e avvolte nelle vecchie coperte, segno che, dopo l’attività alberghiera, la locanda era stato il triste rifugio di qualche poveraccio che aveva annegato la tristezza nel whisky. La locanda, un po’ celata su per il Vicolo della Scaletta, era defilata rispetto al centro e spesso veniva violata da ragazzini o balordi che ne facevano il proprio rifugio per una sera. (...)"
Per cogliere altri dettagli forse ci vuole invece forse un pò di immaginazione:
" (...) Le vecchie stanze erano nei toni del giallo, mentre i corridoi erano bianchi
con delle zoccolature celesti e ciò che rimaneva di bordure decorate a rullo. Piccoli
motivi di fiori e di frutta erano spesso in uso nelle tinteggiature delle vecchie case,
probabilmente una pratica del ’900. Si utilizzavano in genere rulli in rilievo dell’epoca,
con cui si realizzavano degli antesignani delle tappezzerie, piccoli motivi ripetuti: i rulli erano attrezzature adatte a fare molto lavoro, di qualità approssimativa ma veloci.
Nonostante il deterioramento generale, l’impressione era che la felicità di
quelli che avevano gestito quel posto per trent’anni fosse rimasta appiccicata ai
muri. Come se per forza il fabbricato dovesse naturalmente navigare, nonostante
temporanei momenti difficili, sempre verso la propria redenzione. (...)".
Altre sensazioni maturano con l'attività di ricerca e con l'esperienza, tipo:
"(...) Al primo piano uno dei tramezzi era fatto con una muratura mista di calce e pietrame irregolare, tenuto insieme con dei rami e dei listoni di legno. Era compromesso, disfatto per buona parte e cadeva riverso nel corridoio. (...) ero alla ricerca di qualcosa di speciale,
qualche dettaglio o ispirazione (...). La tecnica costruttiva di alcuni tramezzi poteva sembrare simile alle cosiddette “cantinelle”, dei tramezzi costituiti da una struttura in sottili pali di legno verticali e stretti listoni di abete, tenuti insieme con malta di calce, paglia o cannucciati. In realtà, in questo tipo di antichi tramezzi che rinvenivo nelle case da restaurare, trovavo spesso dei bastoni, dei lunghi pezzi di legno, rami o tronchi sottili di piante giovani, tessuti nel muro in pietra; non erano esattamente “cantinelle” cioè assicelle piatte ma rami, più simili a “catenaccioli” o “radiciamenti” o qualche volta ancora "graticci", per dare una sorta di resistenza a trazione alla struttura in questione. O forse era solo un’evoluzione economica delle stesse cantinelle, o una loro versione antelitteram, in mancanza di assicelle d’abete. I radiciamenti come pure le cantinelle sono affascinanti. Sono molto simili all’idea che hanno i bambini di come costruirsi un capanno o una casa sull’albero, mettendo assieme dei rami; nonostante la loro apparente provvisorietà, sono vere strutture di chiusura, vere pareti, architetture minori piene di storia. (...)"
(citazioni da "L'hotel infra ordinario" di Katia Girardi Architetto, vietata ogni duplicazione o copia anche parziale, non autorizzata. Opera protetta dal diritto d'autore)






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